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Guida all’adozione di maggiorenni

Guida all’adozione di maggiorenni

Premessa

All’interno di questa guida risponderemo a tutti i tuoi dubbi relativi l’adozione dei maggiorenni: cos’è l’adozione di maggiorenne, come funziona, la differenza con l’adozione di minore, il consenso, la modifica del cognome, i diritti ed i doveri che nascono dalla adozione di maggiorenne ed ovviamente il procedimento di adozione con la relativa documentazione richiesta.

L’istituto dell’adozione all’interno dell’ordinamento giuridico italiano

Il nostro ordinamento giuridico disciplina, ovviamente, anche l’istituto dell’adozione. Sotto questo punto di vista è necessario porre una distinzione tra l’adozione di minore d’età e l’adozione di maggiorenne; la prima era disciplinata all’interno del Libro I, Titolo VIII, Capo III del codice civile, disposizione che è stata abrogata e sostituita dalla legge 4 maggio 1983, n. 184. L’adozione di maggiorenne, invece, è prevista dagli articoli 291 e seguenti del codice civile.

L’obiettivo originario dell’istituto dell’adozione di maggiorenni (o per definirla più correttamente la ratio) è quello di concedere la possibilità, alle persone che non hanno generato figli, di poter adottare altre persone con le quali sono legate da motivi di affetto, garantendosi in tal modo una discendenza cui tramandare il proprio cognome ed il proprio patrimonio. Dunque in questo caso l’interesse tutelato è quello dell’adottante, a differenza dell’adozione di minore d’età, dove l’interesse preminente è quello del minore.

Dell’adozione di persone maggiori di età: l’art. 291 c.c. e gli interventi della Corte Costituzionale

In casi come questi è utile far partire l’analisi dal dato normativo, ovvero l’art. 291 c.c.: questo prevede che l’adozione di maggiore d’età sia permessa a coloro che non abbiano discendenti; inoltre è necessario che l’adottante abbia compiuto i 35 anni ed abbia almeno 18 anni in più rispetto a chi verrà adottato (detto anche adottando). Il secondo comma del succitato articolo, invece, prevedeva la possibilità di adozione anche a favore di chi avesse 30 anni su autorizzazione del tribunale in presenza di gravi circostanze, ferma restando la distanza di almeno 18 anni tra i due, deve intendersi implicitamente abrogato dalla legge 4 maggio 1983, n. 184.

A tal proposito è opportuno ricordare che l’articolo in questione è stato oggetto di svariate pronunce della Corte Costituzionale nel corso degli anni che lo hanno levigato fino a dargli la forma attuale.

In tal senso, il primo intervento giurisprudenziale della Suprema Corte avvenne con la sentenza n. 557 del 1988, con la quale venne sancita l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede la possibilità di adottare maggiorenni in presenza di discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti.

Successivamente, ripartendo dal principio enunciato in questa pronuncia, la stessa Corte affermò l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che l’adozione non possa essere pronunciata data la presenza di figli naturali già precedentemente riconosciuti dall’adottante, siano essi minorenni o maggiorenni non consenzienti. Con ciò la Suprema Corte intende affermare che così come il divieto di adozione di maggiorenni si applica a chi ha figli legittimi o legittimati minorenni o, se maggiorenni qualora questi non siano consenzienti, allo stesso modo il divieto è da ritenersi valido nel caso siano presenti figli naturali riconosciuti (Corte Cost. sent. n. 245/2004).

In senso opposto è stata ritenuta non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 291 c.c. nella parte in cui impone la differenza di almeno 18 anni tra l’adottante e l’adottato, anche quando quest’ultimo è figlio del coniuge dell’adottante, poiché l’adozione di maggiorenni ha una ratio ed una funzione differenti da quelle riguardanti l’adozione di minori, motivo per cui queste diversità comportano una differente disciplina delle due tipologie di adozione (Corte Cost. sent. n. 500/2000).

Ugualmente non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 291 c.c. nella parte in cui non prevede che si possa adottare un maggiorenne se si hanno già discendenti minorenni (Corte Cost. sent. n. 170/2003).

Il requisito del consenso

Il consenso, così come avviene in altri istituti quali ad esempio il matrimonio, assume un aspetto notevolmente rilevante, tanto da venire espressamente disciplinato negli artt. 296 e 297 c.c.

Il primo afferma che per l’adozione di un maggiore d’età è necessario, appunto, il consenso sia dell’adottante sia dell’adottato. In tal senso è molto chiarificatrice la sentenza n. 4461/1983 della Corte di Cassazione, la quale anzitutto ha constato che l’impugnazione va configurata come impugnazione del negozio giuridico e non come azione di nullità del procedimento; dopodiché identifica il termine per far valere i vizi del consenso tramite la suddetta impugnativa, in caso di violenza morale subita dall’adottante, in quello quinquennale genericamente previsto dall’art.428 c.c. applicabile ai negozi senza contenuto patrimoniale e quindi anche ai negozi di diritto familiare come appunto quello in questione.

La legittimazione per la proposizione dell’impugnativa spetta ai soggetti facenti parte del rapporto e qualora l’azione non sia stata esercitata in vita, si ritiene che sia intrasmissibile l’esercizio della stessa (Cass. Civ., sent. n. 2520/1975).

Per quanto concerne il provvedimento camerale di adozione, è prevista la legittimazione all’azione di nullità in capo a persone diverse dai soggetti partecipanti al rapporto adottivo o, più in generale, da coloro cui è richiesto l’assenso per l’adozione, ma essa è subordinata alla presenza di un interesse patrimoniale in capo all’interessato; ragion per cui non sussiste interesse né legittimazione a favore di chi non possa vantare posizioni successorie discendenti dalla morte dell’adottante (Cass. Civ., sez. II, sent. n. 7125/1991).

Il consenso dell’adottante e dell’adottato non sono sempre sufficienti; infatti, qualora siano presenti alcuni determinati soggetti è richiesto, affinché l’adozione si perfezioni correttamente, anche il loro assenso. A tal proposito, l’art. 297 c.c. si occupa dell’assenso dei genitori e del coniuge. Per quanto riguarda i primi è necessario l’assenso dei genitori dell’adottando, dall’altro lato è altresì necessario il consenso del coniuge sia dell’adottante che dell’adottando.

Il II comma del summenzionato articolo, tuttavia, prevede la possibilità in capo all’adottante, di presentare un’istanza presso il tribunale competente, che può pronunciare comunque l’adozione qualora ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando; escluso il caso dell’assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o quello del coniuge convivente dell’adottante o dell’adottando. Il tribunale può ugualmente pronunciare l’adozione quando è impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.

A tal proposito è utile ricordare che la Corte di Cassazione ha equiparato l’assenso del genitore naturale a quello del genitore legittimo, sancendo l’invalidità dell’adozione nel caso di mancato assenso del genitore naturale (Cass. Civ., sent. n. 2355/1970).

Parimenti si considera un impedimento, al procedimento di adozione di maggiore d’età, la presenza di figli minori dell’adottante, siano essi legittimi, legittimati o anche naturali; ciò perché vengono reputati dall’ordinamento come incapaci di esprimere un valido consenso, proprio per ragioni di età. Tuttavia qualora l’adozione riguardi un maggiorenne che fa già parte del nucleo familiare, in quanto figlio del coniuge e partecipa al contesto familiare dell’adottante, la richiesta di adozione non viene automaticamente impedita per la contemporanea presenza di figli minori, dando la possibilità al giudice di valutare, ascoltando anche i minori stessi se aventi capacità di discernimento ed il loro curatore speciale per la valutazione del giudizio di convenienza nell’interesse dell’adottando, così come previsto dall’art. 312, co. I, c.c., che si ritiene sussistente in quanto trovi una rispondenza nella comunione di intenti di tutti i componenti della famiglia (Cass. Civ., sez. I, sent. n. 2426/2006; Trib. Genova, sez. I, 12 ottobre 2017).

Per quanto riguarda la forma con cui il consenso dev’essere manifestato, l’art. 311 c.c. prevede che l’adottante e l’adottato, o il legale rappresentante di questo, lo manifestino dinanzi al presidente del tribunale nel cui circondario l’adottante ha residenza. L’articolo consente la possibilità di manifestare l’assenso mediante persona munita di procura speciale rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, sempre dinanzi al presidente del tribunale.

La modifica del cognome dell’adottato

Tra i tanti effetti che l’istituto dell’adozione comporta c’è certamente la modifica del cognome dell’adottato. L’art. 299 c.c. prevede che l’adottato assuma il cognome dell’adottante anteponendolo al proprio; se l’adozione è compiuta da coniugi l’adottato assumerà il cognome del marito. Nel caso di adozione compiuta da una donna sposata, l’adottato, non già figlio del marito, assume il suo cognome da nubile.

Antecedentemente alla L. 184/1983 la norma disponeva che l’adottato dovesse assumere il cognome dell’adottante, ma senza la presenza dell’obbligo di anteporlo al proprio. L’attuale disposizione, che segue la ratio dell’istituto di garantire la discendenza all’adottante, trova ampie critiche sia nella dottrina che nella giurisprudenza, a causa della sua rigidità.

La Corte Costituzionale è intervenuta sul punto, sancendo la infondatezza della questione di legittimità costituzionale del I co. nella parte in cui prevede che il cognome dell’adottante debba precedere quello dell’adottato (Corte Cost. sent. n. 120/2001).

Tuttavia, recentemente, il Tribunale di Parma è intervenuto seguendo un nuovo orientamento della Corte Costituzionale, il quale intervenendo sul III co. ha sancito la possibilità, per la coppia sposata adottante, di porre i cognomi di entrambi i coniugi all’adottato, tra l’altro nell’ordine stabilito dalla coppia (Corte Cost. sent. n. 286/2016).

Il Tribunale parmense, ripartendo da questa decisione, sostiene che la lettura orientata dell’istituto tramite quest’ultima sentenza della Corte Cost., ha evidenziato una nuova funzione dell’istituto stesso e una diversa valenza assegnata all’identità della persona, che porta ad un’interpretazione adeguatrice dell’art. 299 c.c., consentendo la postposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato.

Si comprende bene, dunque, come la situazione sia in continua evoluzione e potrebbe portare a breve ad un intervento del parlamento per adattare la normativa attuale alle posizioni della Suprema Corte, che stanno influenzando le sentenze di merito dei vari tribunali locali.

I diritti ed i doveri derivanti dal rapporto di adozione

La creazione di questo nuovo vincolo comporta anche la nascita di diritti e doveri in capo ai soggetti interessati dal rapporto stesso.

L’art. 300 c.c. specifica che l’adottato conserva tutti i propri diritti e doveri nei confronti della famiglia di provenienza; inoltre l’adozione non crea alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, così come non ne nascono tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge.

L’art. 304 c.c., invece, esclude che l’adottante acquisisca diritti di successione nei confronti dell’adottato; viceversa l’adottato assume diritti nella successione dell’adottante. Sul punto è anche intervenuta la giurisprudenza, confermando il diritto dell’adottato anche qualora il decreto di adozione venga emesso successivamente alla morte dell’adottante, che però abbia manifestato regolarmente il proprio consenso (Corte d’App. Torino 15-2-1963).

I casi di revoca (artt. 305 e ss. c.c.)

Il nostro Codice Civile contempla anche la possibilità di revocare l’adozione di maggiorenne, ma prevede che essa possa essere esercitata soltanto in casi ben delimitati; ciò significa che, se si ha intenzione di porre in essere un’adozione bisogna essere ben consapevoli del fatto che non si potrà tornare indietro, salva la presenza di situazioni eccezionali.

La revoca dell’adozione può essere pronunciata dal tribunale, su domanda dell’adottante, nel caso in cui l’adottato abbia attentato alla vita dell’adottante o del coniuge o di discendenti o ascendenti di questi; oppure qualora si sia reso colpevole nei confronti di uno dei predetti soggetti di un delitto punibile con una pena restrittiva della libertà personale non inferiore, nel minimo edittale, a tre anni. A tal proposito la Cassazione si è già pronunciata relativamente al caso di falsificazione del testamento olografo dell’adottante effettuata dall’adottato, sancendo che non può essere disposta la revoca dell’adozione nel caso in questione, dato che la pena minima edittale prevista dagli artt. 491 e 492 c.p. per il delitto di falso in testamento olografo è inferiore alla pena detentiva minima di tre anni (Cass. Civ., sent. n. 1622/1964).

Tuttavia se l’adottante dovesse morire a causa dell’attentato, la revoca dell’adozione può essere richiesta da uno qualsiasi dei soggetti che avrebbero diritto all’eredità dell’adottante in assenza dell’adottato e dei suoi discendenti.

Allo stesso modo, quando i fatti sopra citati e previsti nell’art. 306 c.c., vengono compiuti dall’adottante contro l’adottato, o il coniuge, o i discendenti, o gli ascendenti di questo, la revoca può essere pronunciata su domanda dell’adottato.

Il procedimento di adozione

La richiesta di adozione di maggiorenne va presentata dinanzi al presidente del tribunale del luogo di residenza dell’adottante, mediante domanda in carta semplice. In questi casi è sempre utile l’aiuto di un legale. Contattaci per avere subito una consulenza!

A questo punto il tribunale esegue gli accertamenti previsti all’art. 312 c.c., dopodiché, sentito il pubblico ministero emette sentenza di far luogo o non far luogo all’adozione.

Entro trenta giorni dalla comunicazione della sentenza l’adottante, l’adottando, nonché il pubblico ministero possono impugnare la sentenza stessa dinanzi alla Corte d’Appello competente, la quale anch’essa decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

Quando la sentenza che pronuncia l’adozione diventa definitiva, essa è trascritta a cura del cancelliere del tribunale competente entro dieci giorni da quello successivo rispetto a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi entro cinque giorni dal deposito, dal cancelliere del giudice dell’impugnazione, su apposito registro e comunicata all’ufficiale di stato civile, affinché quest’ultimo la annoti a margine dell’atto di nascita dell’adottato. Richiedi qui il tuo certificato di nascita!

Ugualmente con la suddetta procedura va seguita in caso di revoca dell’adozione, una volta passata in giudicato.

Tuttavia la pubblicazione della sentenza che pronuncia l’adozione o quella di revoca può essere disposta dall’autorità giudiziaria nei modi che ritiene più opportuni.

Indubbiamente l’adozione di maggiorenne è un istituto che continuerà a mutare nel corso del tempo, tuttavia è necessario che esso rimanga ancorato al fine per cui era sorto, ovvero far sì che i consociati privi di discendenza possano soddisfare la loro ambizione alla prosecuzione del loro cognome anche dopo la propria morte.

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Avv. Roberto Fleres

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