La presunzione di paternità trae le sue origini dal diritto romano.
I romani infatti solevano definire tale istituto con una frase latina “pater vero is est, quem nuptiae demonstrant”che letteralmente significa “si considera essere padre colui che nozze legali dimostrano essere tale”.
La ratio dell’affermazione risiede nell’assunto secondo il quale il marito si considera padre del bambino generato durante il matrimonio.
Il nostro scenario legislativo affonda le sue radici nel diritto romano e di fatto ne eredita molti istituti e principi tra i quali quello appena citato.
La stessa costituzione da un rilievo prioritario non soltanto alla tutela della famiglia in senso generico, ma anche specificatamente alla paternità, nell’ultimo comma dell’articolo 30 della Costituzione è sancito che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”. Si tende infatti a garantire la veridicità dei rapporti familiari a tutela della prole.
Tuttavia, l’importanza della presunzione di paternità risiede non soltanto nella tutela della prole, la stessa è anche il presupposto indispensabile per la filiazione legittima.
Al di là del fatto che i figli sono tutti uguali e il legislatore sembra garantire sempre più tale concetto, tradizionalmente la definizione di figlio resta divisa in due tipologie: filiazione naturale e filiazione legittima e, il discrimen tra le due fattispecie, risiede proprio nel fatto che lo status di figlio naturale è riconosciuto al soggetto nato da un uomo e una donna non uniti dal vincolo del matrimonio, lo status di figlio legittimo è riconosciuto invece al soggetto nato da due persone unite in matrimonio.
Presupposto per il lo status di figlio legittimo è proprio la presunzione suddetta che è prevista specificamente dall’articolo 231 c.c. “Il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio.” Questa è una presunzione relativa che, sebbene operi di diritto nel momento in cui nasce un bambino da genitori uniti in matrimonio, poterebbe essere superata ricorrendo all’azione di disconoscimento della paternità prevista dall’art. 243 bis e seguenti del codice civile; l’azione che tende alla smentita del fatto che il padre presunto del figlio generato in costanza di matrimonio in realtà non lo sia (se vuoi saperne di più sull’argomento leggi art. disconoscimento della paternità).
Altra presunzione che opera nel momento in cui nasce un figlio in costanza di matrimonio è quella prevista dall’articolo 232 c.c., l’articolo è rubricato presunzione di concepimento durante il matrimonio e testualmente recita
“Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. La presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale, o dalla omologazione di separazione consensuale, ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione, o dei giudizi previsti nel comma precedente”.
La presunzione che il figlio sia stato concepito in costanza di matrimonio entro i tempi previsti dall’articolo succitato può operare anche se i coniugi o loro eredi dichiarano che il figlio sia stato concepito durante il matrimonio anche dopo i trecento giorni dall’annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, se sia stata già pronunciata sentenza di separazione giudiziale o omologa della separazione consensuale ovvero se i coniugi sono stati autorizzati a vivere separati.
Il figlio invece, d’altro canto può in ogni momento provare di essere stato concepito durante il matrimonio (ai sensi dell’art. 234 c.c.).
Questo ultimo tipo di presunzione è assoluta, poiché si riferisce ai tempi di gestazione.
È opportuno precisare che le presunzioni suddette sulla paternità operano soltanto se vi sia un regolare atto di nascita (richiedi qui atto di nascita) in cui risultino entrambi i genitori (padre e madre) e gli stessi siano regolarmente sposati (art 236 c.c.).
Se la madre anche coniugata dichiara nell’atto di nascita che il figlio nato è in realtà figlio naturale (ovvero concepito con un altro uomo diverso dal marito), non operano le presunzioni di diritto suddette, con la conseguenza che il soggetto così nato non prenderà il cognome del marito della madre, non anvrà diritto ai suoi diritti successori né agli obblighi di mantenimento, a meno che il presunto padre non abbia riconosciuto il figlio della moglie in buona fede (non sapendo che in realtà non era suo figlio) operando il c.d. “riconoscimento per compiacenza” .
Concludiamo l’articolo con una citazione sulla paternità dello psicologo e scrittore Frank Smith Pittman III “La persona che teme di diventare padre non capisce che la paternità non è qualcosa di perfetto che fanno gli uomini, ma qualcosa che perfeziona l’uomo. Il prodotto finale dell’allevare dei bambini non è il bambino ma il genitore.”
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Dott.ssa Martina Cardia